Digging up a Life – o dell’arte di ricostruirsi.

Da tempo immemore non scrivo su un blog. Dei vari tentativi impostati durante gli anni bolognesi, nessuno è andato a segno. “E sti cazzi, non c’avevi niente da dire!”, diranno i miei piccoli lettori. E invece no, miei piccoli lettori scostumati, io le cose da dire ce le ho sempre avute. Ho lasciato tracce su Splinder – che non è il maestro delle Tartarughe Ninja, ma tipo il Commodore di WordPress, roba che ricorderanno pochi dinosauri internauti ai tempi in cui mettere 2.0 dopo la qualunque faceva new e avanguardia – ho amato la grafica di WordPress, ma senza mai imbroccarne mai un filo narrativo. Gli anni bolognesi saranno narrati su queste pagine, per chi vorrà leggerli. Ma dieci anni dopo, il webbe mi rivede archeologa, amorosamente delusa, gattara al primo stadio – quello in cui non ti fidi a pigliare un gatto, ma gli metti i cuoricini su Instagram – innamorata delle genti tutte e con una notevole passione per la Guinness. E il futuro pare radiosamente incerto, pieno di possibilità meravigliose e prevedibilissime cantonate che, finché vorrete, saranno qui redatte, senza però promettere nulla per il futuro.

Che se mi arriva David Gandy e mi travolge la vita, che fai, gli dici di no, c’ho da scrivere il blogghe?

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